COME RINASCERE
                                  di Giovanni Graziano Manca

     La città del sole e dei sette colli si svegliò presto, quel giorno. Intorno alle quattro e trenta del mattino una deflagrazione assordante buttò giù dal letto migliaia degli abitanti del centro storico. Contemporaneamente, nel giro di pochi attimi, un vetusto edificio di tre piani andò completamente distrutto. I mezzi delle forze dell’ordine incolonnati, chiunque si fosse trovato in strada a quell’ora lo avrebbe notato, percorsa la via XX Settembre svoltavano con ordine su per il viale Regina Margherita. A metà del viale, proprio di fronte al terrapieno, l’araucalia si stagliava su uno sfondo blu stellato; un assembramento di mezzi segnalava la fine della corsa; il posto era stato già transennato. Verso le sei e trenta era ancora viva la concitazione, falsi allarmi continuavano a susseguirsi. Per chi in quel momento si fosse trovato fuori dalla delimitazione, i sinistri bagliori e la leggera colonna di fumo che spuntava costituivano gli unici segni ancora visibili di ciò che era accaduto. Nel mentre si andavano diffondendo le prime indiscrezioni fondate circa le cause dello scoppio. Il parlottio dei curiosi durò poco, comunque: allorché si individuò la conduttura del gas di città quale possibile causa del disastro, nessuno si stupì perché tutti sapevano quanto fossero malandate le tubature. I giornali pubblicarono fotografie dei danni al quartiere e la lista dei nomi delle vittime, dodici, in tutto. Delle poche persone presenti nell’edificio al momento dello scoppio solo tre si salvarono; un bambino di quasi due anni, figlio di un ammiraglio e di una pittrice affermata, un ex attore di teatro alcolizzato che viveva con l’anziana madre e una ragazza che conduceva una vita disordinata, studentessa di architettura a tempo perso, all’università.
     Per via dei suoi importanti incarichi l’ammiraglio stava via di casa anche per mesi; il piccino passava il suo tempo tra una mostra di pittura e l’altra, cullato spesso solamente dall’indifferenza degli amici di mamma. Quando i suoi morirono, non avendo la famiglia alcun altro parente che potesse accoglierlo, fu affidato a un istituto per orfani. L’ex attore di teatro, artista dalle alterne fortune, viveva di nostalgia e accumulava bottiglie di cognac vuote in una piccola stanza del retro che dava su un piccolo cortile. Dopo che la sua casa fu distrutta si risvegliò come da uno strano e incomprensibile incubo; si ritrovò ancora giovane e i fantasmi del suo passato smisero di perseguitarlo. La ragazza lasciò l’università e trovò lavoro. In un cinema polveroso di periferia, all’inizio; in un teatro di nuova costruzione, alla biglietteria prima, come attrice di secondo piano

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