IL FANTASMA DELLO ZIO CALOGERO
                                  di Giovanni Graziano Manca

     Antefatto
     Il piccolo cortile sterrato su cui l’officina si affacciava era affollato, ormai; difficilmente si sarebbe potuti arrivare in prima fila per riuscire anche solo in parte ad assistere allo spettacolo che offriva il corpo senza vita e un poco rattrappito adagiato dietro la vecchia Ford ancora in lavorazione. La macchina si trovava lì, parcheggiata di traverso. Calogero si era rifugiato dietro la portiera robusta nel disperato quanto inutile tentativo di sottrarsi alla furia dei colpi di fucile, alcuni dei quali, lo si sarebbe accertato in seguito, sparati da distanza piuttosto ravvicinata. Nessuno ci sarebbe riuscito, ad arrivare lì davanti; eppure, intuendo che qualcosa di irreparabile doveva essere accaduto allo zio Calogero, che rappresentava ciò che di più caro egli aveva al mondo, prezioso come una madre, un padre, un fratello e un amico tutti in un’unica persona, Michele, con lo zaino in spalla, per giunta, perché tornava appena dalla scuola, si fece largo tra la folla con il cuore in gola e riuscì ad arrivare a pochi passi dal morto. Ebbe subito la conferma che si trattava dello zio Calogero anche se di lui riusciva a scorgere unicamente quel ciuffo conosciuto di capigliatura bianca e una mano da meccanico sporca di grasso e di sangue, forse. Michele lo portarono a casa che già iniziava a far buio; aveva seguito seduto in silenzio e con distacco solo apparente la fase dei rilievi svolti dalla polizia e quella di rimozione del corpo con lo sguardo perso nel vuoto. Nessuno, nei due mesi successivi, riuscì a cavargli una sola parola di bocca.
     Anni dopo…
     L’ora di chiusura per Michele venne presto, quel giorno. Aveva passato tutto il pomeriggio davanti ad un piccolo TV color a saziarsi di avvenimenti sportivi e notiziari. Il televisore pareva emanare un bagliore maligno, incassato com’era nell’angolo più buio del gabbiotto metallico. Clienti pochi, per il garage, in quei giorni di metà Agosto. La città già da qualche giorno appariva quasi disabitata; lo si capiva anche dal numero cospicuo di parcheggi liberi nelle strade del centro e nei pressi del lungomare. Alla mezzanotte, l’ora era segnata da un orologio a muro che mostrava una insolita opalescenza per i riflessi delle poche tenui fonti luminose che su di esso si riverberavano, Michele si alzò stancamente dal suo seggiolino di plastica dozzinale e prima di iniziare i suoi preparativi di fine lavoro, dopo aver controllata l’ora anche sul suo orologio a polso, si stiracchiò a lungo.

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