LA CADUTA DEL MURO: CONSEGUENZE GEOPOLITCHE E SOCIALI
                                  di Pierluigi Piromalli

     La caduta del Muro di Berlino, avvenuta a novembre 1989, ha rappresentato e rappresenta tutt’oggi un argomento assai dibattuto data la sua dirompente portata epocale che ha decretato il tramonto dell’Unione Sovietica e, con essa, di quella ideologia marxista leninista che ha permeato il pensiero dominante dei paesi del blocco dell’Est. Se da una parte il forte simbolismo legato alla caduta del muro e alla riunificazione della Germania è rappresentativo del rigetto di quel pensiero figlio del socialismo reale, dall’altra occorre contestualizzare gli eventi per capire se l’avvento della nuova era post comunista salutato acriticamente dai peana del mondo intellettuale e culturale rivolto a celebrare l’evento senza saperne coglierne gli effetti conseguenti, sia stato veramente un fatto positivo.
     Il Muro fu indubbiamente, come ebbe ad affermare Putin, espressione di una catastrofe geopolitica che investì il Socialismo reale, la grande utopia del ventesimo secolo, con pesanti effetti di riallineamento degli equilibri politici europei. Il materiale crollo di questa cortina di ferro, al di là delle lecite manifestazioni di piazza e della forte valenza ad esso collegata, rappresentò un vero e proprio evento tellurico dagli effetti devastanti che sconvolse gli equilibri europei, con profondi riflessi nella politica economica degli Stati del Vecchio Continente.
     L’unificazione della Germania, agognata più dai cittadini della ex DDR che dal mondo politico occidentale, impaurito da un risorgimento tedesco, aumentò enormemente la pressione geopolitica dell’occidente verso l’est europeo, generando effetti destabilizzanti verso l’URSS e verso gli Stati posti sotto l’egida comunista, dapprima con la cruenta dissoluzione della Jugoslavia ed in seguito con la secessione cecoslovacca. Mentre i sollevamenti popolari sconvolgevano le etnie della penisola balcanica, tenute a bada da Tito durante la guerra fredda, il processo di unificazione europea culminò con il trattato di Maastricht siglato nel 1992, con il quale fu decretata l’unificazione monetaria. A vent’anni di distanza si può affermare che l’unificazione tedesca modificò significativamente gli spazi geopolitica, complice il “decesso” politico dell’URSS che liberò gli stati sottoposti alla propria sfera di influenza.
     Spinti dall'entusiasmo di questo primo storico passo verso la distensione, Stati Uniti ed Unione Sovietica cominciarono a dialogare soprattutto nell’ottica di un progressivo disarmo nucleare e ad abbozzare un discorso più ampio che

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