TANGENTOPOLI, MUSA ISPIRATRICE DELL'ATTUALE POLITICA NAZIONALE
                                  di Pierluigi Piromalli

     Nei lontani anni novanta il Paese conobbe il periodo più buio, politicamente parlando, della storia della Repubblica, travolta dallo scandalo di Tangentopoli che scoperchiò un sistema di malaffare politico-imprenditoriale che inquinò la vita pubblica e sociale della nazione. La Procura di Milano, attraverso i suoi donchisciotteschi magistrati del pool “Mani Pulite” capitanati da quel Saverio Borrelli che, molti anni dopo, fu incaricato, forse per il ruolo catartico che lo stesso assunse per effetto del dirompente evento, di coordinare le indagini nello scandalo calcistico del Bel Paese suscitando l’eccitazione collettiva, decapitò un sistema ritenuto responsabile di aver diffuso a macchia d’olio un malcostume che non poteva più essere tollerato né legittimato.
     Tale situazione scosse l’opinione pubblica, da sempre consapevole di ciò che accadeva, ma tacitamente prona alla metastasi che aveva infettato le abitudini collettive, al punto che la stessa si sdegnò fino ad insorgere con una palese rappresentazione di sentimenti di condanna non appena l’andazzo venne formalmente bollato come fatto perseguibile penalmente. L’idea di assistere alla metaforica gogna mediatica e alla fisica conduzione del politico alla sbarra dell’imputato, rese celebri i magistrati milanesi e spinse il Paese a sostenere quell’azione purificatrice, nella convinzione che finalmente potesse cambiare il “modus operandi” di una politica posta sotto accusa. Cosicché, uno alla volta, caddero, per mano di Di Pietro & C, i rappresentanti delle maggiori formazioni politiche dell’epoca oltre ad una schiera infinita di politici e amministratori locali più o meno collusi o indirettamente complici con il sistema.
     Soprattutto, cadde dal trono quel Craxi che, sospinto dai successi del Partito Socialista in piena auge storica, divenne simbolo di quell’accanimento giudiziario diventato ormai un totem da venerare e che, da esule, decise di allontanarsi, ritirandosi negli ameni lidi tunisini di Hammamet, dal palcoscenico processuale che lo avrebbe sicuramente eletto ad imputato principe, sacrificato come capro espiatorio di un cancro mai definitivamente estirpato ma rimasto silente fino ai giorni nostri.
     A distanza di quindici anni da quella avvilente e poco edificante parentesi della vita politica nazionale, poco o nulla sembra essere cambiato nelle stanze dei bottoni della politica nazionale e soprattutto di quella locale, protesa, stando alle notizie sparse qua e là nelle cronache regionali, ad una emulazione delle gesta dei padrini della prima Repubblica. La moralizzazione di una certa informazione, mescolata ai proclami di una parte della magistratura e di una parte dell’”intellighentia” all’epoca dominante, sembrava aver dirottato il sentire comune verso una catechesi collettiva, fatto che spinse l’elettorato a sperare in

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