labile ed, anzi, è sempre più frequente il ricorso, anche mediatico, allo strumento di persuasione collettiva che mira a trasformare in peccato veniale una condotta di rilevanza penale. Nel corso degli innumerevoli scandali politici, imprenditoriali, bancari e, dulcis in fundo, sportivi, si è assistito ad un crescendo rossiniano che ha illuso l’opinione pubblica, la quale sperava forse si stesse compiendo la grande nemesi morale e sociale che, invece, si è dissolta come neve al sole. Nella magistratura, attaccata dal potere politico ed investita da veementi campagne mediatiche ordite da oscure manovalanze politiche, si sono consumate vendette intestine ed incrociate, non ultima la vicenda De Magistris, che hanno vanificato la capacità sanzionatoria dell’organo giudicante e consolidato il convincimento, largamente diffuso nella popolazione, di denegata giustizia. Il paradosso vuole che se da una parte la giustizia rappresenta la camera stagna di coloro che frequentano la stanza dei bottoni e che, sguazzandoci, ne escono quasi camaleonticamente vittime, dall’altra la stessa può diventare per il comune cittadino una mannaia mossa dalla mano inesorabile del giudice di turno.
     Qualcosa chiaramente non funziona in un meccanismo incapace di svolgere un effetto deterrente e la prova è data dal triste fenomeno della criminalità organizzata che affligge buona parte del Paese e che, per la sua struttura fortemente tentacolare, recita orami il ruolo di Stato nello Stato e, piaccia o no, rappresenta una realtà irreversibile e quasi impossibile da estirpare. Il fattore macro e microcriminalità è, in verità, un ambito piuttosto complesso che solleciterebbe una disamina a parte ed una indagine storica approfondita, ma ciò che interessa non è tanto indagare su una realtà evidente e troppo articolata per elaborare metodi curativi quanto rilevare che l’Italia di oggi è il Paese di Bengodi, ove tutto è per lo più concesso e dove i proclami politici appaiono più spot di partito che veri moniti per un cambiamento di rotta. Tutto ciò è chiaramente visibile nella realtà quotidiana scandita dal permanere di condizioni obiettivamente antigiuridiche che sollecitano parziali interventi placebo perlopiù inutili. Gli strumenti della giustizia appaiono quindi inadeguati ed anche se l’Esecutivo ha promesso interventi urgenti di riforma del processo sia civile sia penale, riconoscendo la lentezza dei medesimi che più che procedurale è strutturale, la sensazione di un diffuso pessimismo permane un aspetto sostanziale soprattutto in un Paese dove l’impunità è ormai conclamata ed ha ottenuto il tacito e colpevole assenso delle istituzioni.

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