nuove regole collettive, impegno chiaramente diventato l’imperativo categorico delle potenze mondiali e di quei paesi in via di sviluppo che sono già stati chiamati ad assumere una posizione non più marginale, ma decisionale nel nuovo ordine economico che si intende costruire. Il neo presidente degli Stati uniti, al quale sono affidate le speranze di una rapida ripresa dell’economia, ha compreso il messaggio implicito che questa crisi ha lanciato autorizzando l’iniezione di una consistente liquidità nel circuito monetario, la quale servirà a sostenere una ripresa che non si alimenti solo sull’economia virtuale.
     Questa crisi, tuttavia, sembra avere due principali responsabili, banche ed alta finanza, che molto prevedibilmente non verranno coinvolti né toccati , e con essi i grandi burattinai che da sempre ne proteggono gli interessi. Basti pensare al recente caso dell'ebreo americano Bernard Madoff, il quale per la miliardaria truffa ordita ha collezionato una condanna a 150 anni di carcere e che rappresenta il simbolo distorto di un’economia rivolta a pianificare l’accumulo di ingenti capitali a favore di ignoti beneficiari danneggiando piccole economie che costituiscono la spina dorsale dei singoli Paesi.
     In questo contesto, l’Europa in particolare, vive una realtà di assestamento geo-politico assai difficile, che costituisce terreno fertile per una recessione che fa sentire i propri effetti destabilizzanti sull’economia: i paesi dell’est europeo faticosamente cercano di allinearsi alle politiche commerciali di quelli del blocco occidentale, quelli occidentali boccheggiano tra deficit pubblici e stagnazione di posti di lavoro, altri, in particolare la Turchia, si barcamenano tra speranze di annessione all’UE e di semplice adesione esterna. Economisti e sociologi hanno, in verità, ipotizzato rimedi per tamponare e limitare i danni di questa recessione mondiale: in primo luogo si è evocata la nazionalizzazione delle banche, addirittura delle grandi imprese di rilevanza strategica per la nazione, rovesciando l’anomalo principio secondo il quale nazionalizzare equivale a comprare i debiti delle aziende, ponendo al vertice di esse manager che pensano solo a intascare gli utili e socializzare le perdite. Una seconda soluzione risiede nel sostenere una politica di grandi lavori pubblici per ridare slancio all'economia ed assorbire la disoccupazione creata dalla crisi economica, senza dimenticare che l'investimento pubblico deve essere dirottato nella ricerca avanzata e nell’istruzione, ambiti funzionali e complementari alla crescita e al progresso. La verità è che sia nazionalizzazione sia grandi lavori pubblici appaiono progetti non percorribili da parte dei singoli governi, i quali

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