Guglielmo, con la sua fiducia nella spiegazione razionale degli avvenimenti, rappresenta il lato più moderno della Chiesa del Trecento: periodo di forti divisioni interne e non (è questo il momento della cosiddetta “cattività avignonese”) questo secolo segna il passaggio da una Chiesa ancora fortemente medievale e mistica ad una più secolare e calata nel mondo, non ostile ai progressi scientifici. Il contraltare dell'obiettiva scientificità di Guglielmo è rappresentato da Bernardo Gui, inquisitore temutissimo, realmente esistito, abituato ad estorcere con la tortura improbabili confessioni. Profondamente misogino, persecutore di eretici, alla fine del libro rimarrà vittima della sua stessa crudeltà.
     Uno dei personaggi più interessanti del libro, una vera e propria citazione vivente, è Jorge da Burgos: cieco e molto anziano, è chiaramente una sorta di caricatura dello scrittore argentino Jorge Luìs Borges. La struttura labirintica della biblioteca da lui protetta è ispirata a quella della “biblioteca di Babele”, descritta nell'omonimo racconto di Borges. Nello scritto dell'autore argentino la biblioteca di Babele è un luogo infinito, composto da sale esagonali, dove sono presenti infiniti libri di 410 pagine che contengono lettere in tutte le combinazioni possibili: a volte da queste combinazioni nascono frasi intelligibili, ma decontestualizzate. L'uomo si aggira per queste sale ricercando il Libro della Verità, che esiste sicuramente, ma che è presente in tutte le sue possibili varianti e perfino nel suo opposto ed è quindi irriconoscibile.
     Jorge da Burgos nasconde nell'impenetrabile nucleo della biblioteca il secondo libro della perduta “Poetica” di Aristotele, dedicato alla commedia e quindi al riso. Fedele all'insegnamento di Bernardo di Chiaravalle, per cui la risata è opera del diavolo, è disposto a morire pur di non permettere che un'opera talmente eretica venga diffusa, un estremo tentativo di preservare il dogma dalla perdita della sua mistica sacralità.
     Il racconto si conclude con una citazione, leggermente variata, dal “De contemptu mundi” di Bernardo Morliacense, ripresa come titolo del libro “Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”, “La rosa originaria esiste solo nel nome, noi possediamo solo i nomi”, l'unica cosa che rimane ai posteri e resiste all'erosione del tempo è il nome, volatile essenza della materia e, forse, di quella verità che la Chiesa trecentesca pretendeva assoluta e immutabile.
                                                                               Silvia Ferrari

      pagina 02 di 02
 
 
 
 
 
Infobergamo® - www.infobergamo.it è un prodotto H.S.E. - Leggi la nostra CDD - Validazione XHTML - CSS
Autorizzazione Tribunale di Milano n.256 del 13 aprile 2004. Vietata la riproduzione e la riproposizione non autorizzate di testi ed immagini.
Recensione, Il nome della Rosa, Umberto, Eco, Guglielmo da Baskerville, Adso da Melk, Jorge da Burgos, Abate, Abbone, Romanzo, Chiesa, Trecentesca