CALVIZIE: CERTEZZE E FALSI MITI
                                  di Cristina Mascheroni

     Questo mese ci vogliamo rivolgere ai nostri amici maschietti, a tutti coloro che dai quindici anni in su iniziano a scrutare la proprio folta chioma “capelluta” ponendosi la fatidica domanda: “Succederà anche a me? Perderò anch’io i capelli?” Già, ci siamo resi conto che questo è considerato come il problema Numero Uno dagli uomini e quindi abbiamo deciso di effettuare un approfondimento dell’argomento per sfatare alcune leggende metropolitane che circolano in questo campo.
     Innanzitutto, la calvizie ha molti nomi, ma quello con il quale è più conosciuta è “alopecia androgenetica”: già dal nome riusciamo ad inquadrare il nemico e a capire di che cosa stiamo parlando, infatti con questo termine viene identificata la natura androgena (cioè legata all’azione di specifici ormoni androgeni) e genetica (di carattere ereditario e legato ad alcuni geni presenti nel nostro DNA) dell’inestetismo. Chiariamo subito che a volte si possono perdere molti capelli, a seguito di forti stress emotivi, ma non per questo si sta diventando calvi: i dermatologi esperti in tricologia hanno infatti rilevato che situazioni stressanti possono influire sull’assetto ormonale maschile e causare perdite di capelli anche piuttosto importanti. Vedremo in seguito come.
     Torniamo a parlare invece di “calvizie comune”: si chiama così perché è la forma più diffusa di calvizie ed è caratterizzata da una perdita di capelli che inizia dalla sommità della testa, coinvolgendo tutta la parte alta del cuoio capelluto e senza intaccare le tempie e la nuca (calvizie a corona). Spesso tra i sintomi iniziali troviamo anche seborrea e desquamazione furfuracea (forfora). Generalmente si manifesta intorno ai 18 anni ed inizia con una grossa caduta di capelli che vengono sostituiti da altri, più sottili rispetto ad un capello normale e meno pigmentati. Ecco spiegato perché si ha l’impressione di “perdere i capelli”: in realtà il numero degli stessi non è diminuito, come pensa il 90% delle persone, affatto, semplicemente i capelli che ricrescono sono molto più sottili e depigmentati rispetto ad un capello sano e robusto (chiamato capello terminale) dando così l’impressione di averne molti meno in testa.
     Un medico di nome Hamilton, il primo ad approcciare il problema da punto di vista scientifico, classificò i diversi stadi che i capelli attraversano prima di arrivare alla calvizie definitiva, studi poi ripresi da Norwood che arrivò a classificare ben 12 differenti stadi di calvizie: oggi, per identificare di quale tipo di calvizie stiamo parlando, si utilizzano la “Scala di Hamilton” e la “Scala di

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