FRESCHEZZA D'ESTATE CON L'ANGURIA
                                  di Cristina Mascheroni

     Che caldo che fa! Quando la colonnina di mercurio sale all’impazzata e i palmi delle mani si fanno sudaticci, ogni rimedio è buono per cercare sollievo all’afa. Tra questi, uno è particolarmente amato da tutti: la fetta di anguria! Avete mai notato la fila di persone davanti ai baracchini che vendono la rinfrescante fetta rossa di allegria? Chiassosamente lunghe. Incuriositi, ci siamo domandati: da dove arriva questo frutto amato da grandi e piccini?
     Con il suo altissimo contenuto di liquidi, nei mesi caldi l’anguria è il miglior dissetante naturale ed è una grande amica della salute e della linea. Il termine anguria, utilizzato soprattutto al settentrione, o cocomero, come viene chiamata nell’Italia del Sud, deriva dal greco “angourion” ed indica il frutto di una pianta rampicante appartenente alla famiglia delle Cucurbitaceae, originariamente proveniente dall’Africa tropicale. Il nome cocomero, invece, deriva dal latino “cucumis” e significa cetriolo. Il frutto al suo interno è rosso, ricco d’acqua e molto zuccherino: data la buona percentuale di acqua e di vitamine A e C, una fetta rinfrescante può sostituire per almeno una buona parte un pasto giornaliero. Sempre in tema di nomignoli, gli inglesi la chiamano “Watermelon”, mentre i tedeschi la chiamano “Wassermelone”; per rimanere in Italia, nel gergo popolare napoletano si chiama “melone d’acqua” oppure “melone da pane” o “popone”, mentre in Calabria la chiamano “zi pàrrucu – zio parroco” o nella provincia di Reggio Calabria “zi pangulu – zio pancione”, cioè rubicondo come il volto del parroco! Tanti nomi diversi ma tutti con un comune denominatore: la freschezza acquatica dell’anguria.
     Come è arrivato da noi questo frutto? Si racconta che David Livingstone, un esploratore dell’Africa, tornando da uno dei suoi innumerevoli viaggi portò con sé un frutto che cresceva abbondante e allo stato naturale nel deserto del Kalahari: lì esso è conosciuto con il nome di “Tsamma” e la pianta è immediatamente riconoscibile per le sue foglie particolari e per l’enorme quantità di frutti che produce, più di un centinaio per ogni esemplare. Per questo motivo, data l’abbondanza e la facilità di coltivazione, il cocomero è una sorgente di acqua abituale per gli abitanti della zona, oltre a essere considerato come cibo sia per gli uomini quanto per gli animali. Se torniamo ancora più indietro nel tempo, troviamo tracce di una prima coltivazione di questo frutto nell’Antico Egitto, quasi 5.000 anni fa, tracce documentate da alcuni geroglifici ritrovati dagli archeologi: il frutto veniva inoltre deposto nelle tombe dei faraoni come mezzo di sostegno per l’aldilà, in quanto, secondo il mito egizio, esso aveva origine dal

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