futuro facile posto che i proclami elettorali e le ultime dichiarazioni dei vari leader di partito non paiono improntate alla tanto agognata distensione. Più che concentrarsi su programmi e obiettivi ed individuare chiaramente i percorsi realistici per perseguire tali finalità, gli opposti schieramenti perseverano nell’ironizzare sulle rispettive campagne elettorali, dimostrando chiaramente di non sapersi ancora scrollare di dosso la pessima vocazione a screditare l’avversario. Il modo di predicare e di fare politica prescinde, infatti, dai dati numerici o da consensi più o meno consolidati e qualsivoglia governo che dovesse insediarsi a Montecitorio, sia esso targato Berlusconi, Veltroni, Fini o chicchessia, dovrà dare prova di una mutazione genetica che trasferisca sugli elettori la consapevolezza di una rinnovata era della politica italiana.
     Anche se l’abolizione dei privilegi di casta continua ad animare le speranze del singolo cittadino, realisticamente non si può pensare che una pletorica rappresentanza parlamentare possa aspirare alla catarsi istituzionale semplicemente transitando dalle preventive promesse elettorali spesso disattese. Però, si può timidamente affermare, alla luce di quanto si sta delineando in queste settimane le quali precedono le elezioni, che il nuovo governo possa confidare in serie opportunità di nascere all’insegna di una larga intesa tra il PDL ed il PD. La speranza risiede nel fatto che la nuova stagione politica possa nascere con l’auspicio di un rinnovato e propositivo vigore, il quale potrà anche trovare proseliti sotto i riflettori dell’annunciato e modaiolo documento programmatico dei cento giorni o dei dodici punti veltroniani, ma che soprattutto dovrà convincere il singolo della forza risolutiva dell’azione politica in relazione ai veri problemi che affliggono il Paese.
     La teorica e, a questo punto, auspicabile possibilità di rinnovamento potrebbe essere rappresentata proprio dalla volontà di formare un governo di unità nazionale tra i due principali soggetti antagonisti, soluzione intrigante che garantirebbe una potenziale stabilità politica e che consentirebbe alle opposte coalizioni di cementare una collaborazione fino ad ora impensabile. Un governo di unità nazionale rievocherebbe, inoltre, quel compromesso storico che Moro, negli anni Settanta - Ottanta, avrebbe voluto stringere tra l’allora Democrazia Cristiana e il Partito Comunista e che ha gettato ombre sinistre sulla storia di quegli anni e dei movimenti eversivi che si impadronirono del Paese.
     Il PD è oggi il soggetto che, più di altri, può interloquire, per condivisione di obiettivi e per moderazione, con il PDL, candidato secondo i sondaggi alla vittoria elettorale, modello, quest’ultimo, che in attesa dell’annunciato scioglimento di AN sembra destinato ad intercettare la scia del Partito Popolare Europeo. L’alleanza potrebbe quindi, in questa fase, sancire la pace politica, messa a dura prova nelle ultime tre legislature, ed introdurre una fase di stabilità nell’interesse di un Paese bisognoso di interventi efficaci e condivisi.

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