LA QUESTIONE PENITENZIARIA IN ITALIA
                                  di Pierluigi Piromalli

     Le cronache nazionali si dilettano, da tempo, a dissertare sul fenomeno della realtà penitenziaria italiana che, sempre più spesso, sollecita dibattiti parlamentari che hanno provocato una certa preoccupazione nell’opinione pubblica, pervasa da dubbi circa l’adozione di provvedimenti “svuota-galere”. Dal punto di vista statistico, la popolazione carceraria è esponenzialmente aumentata nell’ultimo decennio a causa dell’impennata dei reati connessi all’immigrazione, soprattutto clandestina, che si sono assommati a quelli della microcriminalità nostrana. Inoltre, il Paese è afflitto dall’altra secolare piaga della criminalità organizzata e della legislazione speciale ad essa applicata, recepita nell’art. 41 bis del codice penale, che aggrava ulteriormente il problema della detenzione e della gestione degli istituti di pena ad essa preposti.
     Da più parti si levano grida di lamento circa la congestione delle carceri, una saturazione che si accompagna, tanto per confermare l’anomalia che da decenni assedia la Pubblica Amministrazione, ad una cronica carenza degli organici. Il collasso delle strutture penitenziarie ed in certi casi l’inadeguatezza di edifici non più compatibili con le esigenze attuali hanno, però, unito i governi di vario colore, succedutisi nel corso delle legislature, non tanto nell’intento di programmare la costruzione di nuovi istituti di pena e detenzione, quanto nell’ipotizzare soluzioni alternative che finiscono per mortificare e delegittimare il principio intangibile della certezza della pena. Per ovviare al sovraffollamento delle carceri e per non distogliere risorse economiche da ambiti e settori parassitari della vita pubblica a favore della costruzione di strutture poste a tutela e salvaguardia della collettività, la politica si è ingegnata soluzioni alternative che disegnano un Paese ormai genuflesso e prono allo strapotere di realtà criminali pressoché impunite.
     Ecco, allora, che si materializza l’indulto, soluzione essenzialmente ideata per svuotare le carceri e non certo dettata da indulgenza istituzionale, che pone un temporaneo argine al problema della saturazione degli istituti di detenzione dal momento che più della metà dei beneficiati si macchia “dell’onta” della recidiva, confermando, sempre che ve ne fosse bisogno, che la funzione rieducativa della pena tanto cara al Beccaria null’altro rappresenta se non un’utopia per delinquenti abituali. Recentemente si è addirittura ipotizzata una soluzione assai americana, ovvero l’introduzione del bracciale elettronico che, nelle aspettative dei suoi suggeritori, dovrebbe permettere una forma costante di controllo impedendo al reo di perpetuare l’attività criminale. Che pochi credano nell’efficacia di un tale sistema è un fatto ormai scontato se si pensa che, comunque, l’ex detenuto o aspirante tale non solo beneficerebbe del

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