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LOGOFOBIA: PAURA DI PARLARE IN PUBBLICO
                                 di Enrico Caruso

     La paura di parlare in pubblico colpisce la maggioranza della popolazione. Secondo stime americane, tale angoscia riguarda circa il 60% della popolazione. La logofobia ha cause molto varie. Innanzitutto si ha paura che il proprio narcisismo venga frustrato, determi­nando come soluzione estrema il rifiuto di affrontare tale presta­zione. Solitamente sentimenti d’inadeguatezza faranno la loro comparsa ancor prima di affrontare la si­tuazione temuta attraverso sintomi somatici (insonnia, mancanza d’appetito, difficoltà di concentrazione, ecc.).
     Questo tipo di angoscia è il risultato dell’azione confusionaria di strutture intrapsichiche che possiamo definire “voci interne”: queste rappresentano l’insieme di fantasie o pensieri, aventi come oggetto la pro­fe­zia di un fallimento in agguato o di una azione coattiva fallimentare difficile da superare. L’ azione compulsiva di queste voci può avvenire prima di affrontare una prestazione o subito dopo. Così, ad esempio, prima di far fronte ad una si­tuazione verbale, come fronteggiare un’interrogazione, parlare con un’autorità o parlare in pubblico, al soggetto s’impongono fantasie o pensieri ossessivi del tipo: “Devo star calmo! Questa volta andrà sicu­ramente bene! Adotterò que­sta o quest’altra condotta, cosi sicuramente non andrà come l’ultima volta! Ecc.”
     Per affrontare questi tipi di situazioni, più che frequentare corsi sulla “comunicazione”, ogni persona è chiamata a capire le motivazioni che bloccano la sua comunicazione. La qualità comunicativa può essere migliorata mediante l’impiego di tecniche psicologiche, comporta­mentali, psicosomatiche e musicoterapiche, che avranno come oggetto tre livelli:
     1) Comunicazione Creativa e Immaginativa: concernente la conoscenza delle modalità intrapsichiche e comportamentali che si sviluppano nella comunicazione.
     2) Comunicazione Corporea: che riguarda la conoscenza del proprio corpo, per regolare il bio-ritmo e per controllare le forme ansiogene che si svi­luppano all’interno di una relazione.
     3) Comunicazione Sociale: avente come oggetto la conoscenza del proprio Sè all’interno delle relazioni umane.
     Prima di imparare a comunicare, e ancor prima di azio­nare il cervello, è necessario apprendere l’arte di ascoltare. La comunicazione, sviluppandosi nei termini dialogici (da “dia-lo­gos”, ossia due intelligenze che s’incontrano), non è solo manipolazione della situa­zione relazionale, anche perché questo non sempre è possibile. L’ascolto e la comunicazione sono qualità essenziali per entrare in punta di piedi nel mondo interno dell’altro, senza voler controllare i pensieri altrui, anche perché si rischia di rimanere intrappolati nella testa dell’altro. Il bombardamento logorroico o la pretesa di voler convincere a tutti i costi, sicuramente non è un’arma vin­cente per entrare in comunicazione. Paradossalmente si diventa più convincenti quando non si desidera convincere, ma si desi­dera CON-VINCERE, che equivale a VINCERE INSIEME.
     In chiave di comunicazione, secondo le nostre ricerche cliniche, abbiamo osservato che in ogni persona esiste una componente intrapsichica, che abbiamo definito “Sè-Sonoro”, ossia una sorta di  rappresentazione fantasmatica che si attiva nella comunicazione con l’altro e che riguarda la percezione del proprio linguaggio mediato dal rapporto dinamico tra fantasie interne e immagini passate. Il Sè-sonoro si modifica con l’evoluzione della persona e con la definizione dell’identità. In altre parole, il Sè-sonoro racchiude la fantasia della comuni­cazione e la percezione intrapsichica del nostro grado di comunicazione. Questa componente si evolve in base al grado di maturità personale e di sicurezza raggiunto nei rapporti sociali. Il Sè-Sonoro è la percezione fantasmatica della nostra comunicazione che si manife­sta nel momento in cui dobbiamo affrontare una situazione so­ciale. In questa fantasia vengono proiettate immagini passate e il nostro giudizio rispetto alle nostre abilità comunicazionali.
     Parlando ad una platea, gli accorgimenti necessari per regolare l’efficacia della comunicazione dovranno avere come oggetto:
     Il linguaggio corporeo e la gestione della motricità, che rappresentano la primordiale comunicazione com­prensibile a tutti: al fine di comunicare apertura, calore e deside­rio di farsi capire, il viso dovrà essere rivolto verso la platea, gli occhi devono essere diretti verso la gente,  senza ricercare punti fissi o far finta di guardare. La schiena dovrà esser ritta, i movi­menti corporei dovranno essere plastici, ritmici ed aperti; evitate segnali di chiusura come accavallare le gambe,  mettersi le mani in tasca, dietro la schiena o incrociare le braccia.
     Il messaggio e i contenuti: la struttura­zione dell’argomento dovrà tener conto anzitutto delle attese e degli obiettivi della platea, dovrà avere un cappello comprensibile a tutti, stabilire gli obiettivi (la tesi che si desidera dimostrare) rendendo chiari i passaggi anche con esempi concreti per ottenere il coinvolgimento. Attenzione alle eccessive citazioni, che stancano ed annoiano. Infine, il messaggio terminerà con una coda che prenderà congedo dall’ascoltatore, senza essere porta­trice di verità e che mediante l’uso di condizionali sarà aperta ad altri possibili sviluppi (antitesi) i quali offriranno maggiore chiarezza ed invito alla compartecipazione.
     Uso del microfono: con l’uso del microfono il feedback della propria voce si ampli­fica con due tipi di  risonanze, una “aerea”, che determina un riascolto esterno amplificato per mezzo dal movimento delle molecole d’aria, e l’altra “ossea”, che causa la vibrazione delle ossa determinando un ascolto interno. L’uso del microfono può creare molta angoscia con fantasie a carattere persecutorio. Il motivo di questo cattivo funzionamento psicologico può essere causato da fantasie aggressive o da esperienze passate, le quali hanno inibito la sintonia e la relazione affettiva con la propria voce.
     Linguaggio: all’inizio della verbalizzazione  si consiglia di tenere un tempo lento affinché l’ascoltatore venga invitato a sintonizzarsi, senza sentirsi in­vaso. Secondo l’incisività e l’importanza che si desidera comuni­care, in base ai contenuti, il tempo potrà essere velocizzato o rallentato. Il tono non dovrà essere lamentoso e tanto meno ag­gressivo. Per una migliore qualità acustica, sarà opportuno non marcare i suoni sibilanti (S\Z), le palatali (P\B) le occlusive (C\G) e soprattutto la vibrante R.
     Utilizzate delle pause per monitorare la relazione: quando si parla al microfono, le pause permettono di monitorare la partecipazione di chi ascolta e si prende tempo per calibrare le frasi che verranno pronun­ciate successivamente. Riuscire a rispettare le pause è indice di sicurezza e di capacità di gestire le emozioni nell’atto di rivelarsi attraverso un micro­fono.

 

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