non viene citato il nome di Dioniso, ma lo si può intuire dal suo simbolo osceno, il fallo gigantesco che precede il corteo. Aschenbach si sveglia sconvolto dal sogno, che altro non è che la manifestazione dell'Es dello stesso scrittore in opposizione alla figura apollinea di Tadzio. La sua bellezza perfetta e classica può essere letta come la manifestazione dell’apollineo, nel senso nietzscheano del termine: ordine e perfezione opposti al dionisiaco, alla caoticità dei sensi. Furore sensuale contro esaltazione intellettuale, un “agòn”che non costituisce tanto una mutua esclusione dei due principi, quanto una continua tensione che porta ora all'apollineo ora al dionisiaco, separati solo da differenze di intensità.
     È dall'apollineo che nasce il dionisiaco e viceversa. La bellezza di Tadzio porta in sé la stimolazione di un desiderio erotico, in questo caso nato in Aschenbach; è il dionisiaco che fa capolino dall’algida perfezione apollinea, una sorta di “trappola” tesa al di sotto di una superficie levigata e splendente.
L’allusione di Schérer alla “stranierità” di Dioniso non è casuale: è una caratteristica strutturale del dio all’interno del Pantheon greco, un dio che è apolide, che non appartiene a nessun territorio, ma è presente in tutti durante le feste in suo onore. È così una divinità intimamente straniera, che conserva questa sua caratteristica come un tratto da rivendicare, altro attributo del suo potere sovversivo. Molto semplicemente si potrebbe ravvisare la prima e più palese presenza dello straniero nell'arrivo di Aschenbach a Venezia, patria culturale ma non reale dello scrittore. L’anziano artista è quindi uno straniero, che nel “campo neutro” costituito da Venezia incontra Tadzio, un altro straniero. Qui abbiamo un raddoppiamento dell’estraneità, sia dei protagonisti nei confronti del territorio, sia nei reciproci riguardi; la loro relazione è in effetti una relazione tra estranei, una semplice interpretazione unilaterale di sguardi e sorrisi da parte di Aschenbach.
     Essendo Tadzio la rappresentazione della bellezza apollinea, si fa ammirare, più che essere ammirato: e il lettore non riesce a capire se il legame che Aschenbach ha arbitrariamente creato sia condiviso dal ragazzo, fino alla scena finale in cui il bel polacco si gira verso lo scrittore indicandogli l’orizzonte, quasi come a presagirne la morte e ad invitarlo a riflettere su ciò che lo attende oltre. L’ ultimo tipo di estraneità che dobbiamo considerare è quella che Aschenbach prova nei confronti di se stesso, che entra in ridondanza con l’estraneità della città: Tadzio sarà uno sconosciuto, ma è in lui che lo scrittore si riconosce, è in lui che la pulsione dionisiaca trova un'affinità.
     Per dirla con Schérer, “Dioniso è quindi il dio che permette di estraniarsi dalla realtà pur restandovene all’interno, vivendo in un mondo parallelo e sognante. Una realtà di cui Aschenbach sognava, ma che la “divinità straniera” non ha potuto offrirgli”.                                                Silvia Ferrari

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