da strada, dalla rappresentazione di virtù occulte alle soloniche conversazioni, che rendono camaleontico un palcoscenico adattato ai molteplici gusti di consumati e commossi spettatori. Oppure i telequiz, vere palestre culturali dove si può aspirare a diventare euromilionari mentre silenziosamente avanza la Cina del mercato sottocosto e si ordiscono manovre occulte perpetrate dai colletti bianchi di gruppi bancari, di società finanziarie, di compagnie assicurative, di gestori dei servizi con l’inevitabile dilatazione di spese ed oneri spalmati sulla ignara collettività. Anche il gossip, soprattutto televisivo, ricade nella pianificazione dei programmi più gettonati, rappresentando un aspetto importante che attrae masse di curiosi e fa gongolare le emittenti televisive protese ad ideare movimenti tellurici degli indici d’ascolto.
     Non si vuole, tuttavia, demonizzare le trasmissioni di evasione che, in quanto tali, non hanno pretese né educative né sociologiche, ma chi scrive è convinto che i media si muovano scientificamente su tre versanti: il primo promuove un’evasione generalizzata, sia essa televisiva o più semplicemente comunicativa, dalla matrice innocua ed avara di contenuti; il secondo tende a spettacolarizzare ed enfatizzare gli eventi anche di ampia risonanza pubblica e sociale riducendoli a teatrini di costume o banalizzandoli a luoghi comuni. L’ultimo dirotta volutamente l’informazione preconfezionando notizie che servono a consolidare opinioni poco più che embrionali e non correttamente formate che si trasformano, per mancanza dei necessari approfondimenti, in “sentimenti comuni e collettivizzati”.
     Eppure, la sempre più ampia diffusione dei sistemi tecnologici e telematici consente di accedere a fonti alternative documentali, che sollecitano il confronto e conducono quasi sempre a comprendere l’effettiva realtà spesso abilmente celata o mal raccontata dall’informazione ufficiale. Purtroppo il Bel Paese, allorché si affronta il problema del potere distorto dei mezzi di comunicazione, non brilla certo per capacità di analisi e per autocritica e, per dirla alla Travaglio, il  giornalismo in Italia rappresenta il “cane da compagnia” o “da riporto” del potere.
     Basti osservare come trasmissioni televisive costruite ad hoc e scaraventate in prima serata offrano palcoscenici effimeri ove tracimano fiumi di parole di disinibiti parlamentari che occultano ed alterano la verità dei fatti o più semplicemente ne offrono una versione edulcorata. Giornalisti e conduttori, potenziali depositari dell’imparzialità e garanti di un contraddittorio che quasi

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