primis i ritardi, non sembrano scomporsi più di tanto, al punto che i vertici dell’Ente hanno coniato una fantasiosa voce battezzata “ritardi accidentali”, che ricomprende tutte le anomalie non direttamente riconducibili alla responsabilità dell’Ente. La verità è che il ritardo di un treno è una non-notizia, ma costituisce la normalità quotidiana che coinvolge centinaia di migliaia di viaggiatori su tutto il territorio nazionale. I dati che Trenitalia fornisce diventano fuorvianti se si pensa che nelle statistiche ufficiali non compaiono i convogli che hanno accusato un ritardo fino a quindici minuti, lasso di tempo che i milionari manager di uno degli Enti più indebitati del Paese considerano “fisiologico”, omettendo di spiegare origine e motivazione di tale bizzarra caratteristica.
     Alitalia e Trenitalia sono accomunate da una desolante e deprecabile inerzia collettiva che sembra travolgere gli addetti ai lavori, costretti ad allargare mestamente le braccia o a diventare il parafulmine degli strali dell’utenza. I dipendenti dei due derelitti Enti assurgono, quindi, al ruolo di capri espiatori per camuffare un’incompetenza gestionale preoccupante, dalla quale i pochi portavoce ufficiali cercano goffamente di districarsi manipolando terminologie tecnico-amministrative che dicono tutto e niente. L’accettazione generalizzata, che spazia dall’irritazione collettiva al semplice fastidio, è avallata dal classico luogo comune del “questa è l’Italia”, affermazione che fa trasparire un senso di impotenza misto ad istinti di ribellione cruenta. L’esempio di analoghe esperienze di altri paesi poco hanno insegnato ai nostri amministratori e sponsor politici: i piani industriali tanto decantati paiono più specchietti per le allodole che reali progetti di salvataggio per compagnie in crisi o alla soglia del fallimento irreversibile. Si preferisce accontentare sindacati, dipendenti, fornitori, amministrazioni locali e via dicendo piuttosto che ripianificare l’attività ex novo, senza gravare sulla collettività e soddisfare le legittime aspettative dell’utenza sempre più costretta a valutare ipotesi alternative non sempre realisticamente fruibili.
     La via alla vera privatizzazione rappresenta, si spera, la salvezza per l’intero apparato dei trasporti oggi collassato e non più in grado di assolvere efficacemente alle esigenze dell’utenza. Tuttavia, gli ammodernamenti delle infrastrutture, le riqualificazioni, i piani di incentivazioni agli esodi e i prepensionamenti per ridurre costi e comprimere le spese, spesso sono stati condotti senza un vero criterio gestionale che ha penalizzato servizi non differibili ed essenziali quali la manutenzione periodica dei mezzi ed ha pregiudicato il mantenimento dei presidi sul territorio che facciano da tramite tra l’Ente e il cittadino.

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