"Milano mi era ormai diventata insopportabile, il cemento e l'arrivismo mi nauseavano... tornai a Bergamo nel 1975"
                                                      di Cristiano Calori

     Ho incontrato l’ottantaseienne artista bergamasco Rino Carrara nel suo studio di Bergamo, arrampicato in cielo al decimo piano e gli ho chiesto di raccontami un po’ di lui e del suo lavoro. Carrara, nel 1998, ha tenuto presso la Galleria d’Arte moderna e contemporanea di Bergamo (GAMeC) un’antologica denominata "L’attività artistica 1956/1997", ordinata da Vittorio Fagone, con l’intervento di Gillo Dorfles; dal 2005, inoltre, espone due opere presso l’Istituto Italiano di Bruxelles in “Contemporaneo Italiano” e nel 2006 è presente in “Quaranta artisti Italiani” in permanenza al Palazzo dell’Unione Europea di Bruxelles.

Carrara, raccontami dei tuoi inizi…
     “Sono nato a Bergamo nel 1921 ed ho vissuto qui fino allo scoppio della seconda guerra mondiale, durante la quale sono stato al fronte in Africa e vi sono

rimasto per due anni; facevo la guida e dipingevo porcellane per i turisti. Sono rientrato dall’Algeria nel 1947, ma Bergamo mi pareva, allora, provinciale e scioccata per quanto avvenuto durante la guerra, faticava a riprendersi e i miei punti di riferimento ed i miei amici erano persi, non c’era fermento culturale, mentre gli artisti della città erano arroccati su posizioni figurative poco

innovative; decisi quindi di trasferirmi a Milano e mi misi a frequentare gli ambienti della vita artistica milanese che era piena di stimoli, impulsi, novità.”
Com’era la Milano di quegli anni?
     “Era stupenda, un mondo in fermento nel quale l’ottimismo e la creatività permeavano e trasudavano da ogni parete di trattoria o Galleria d’arte; certo, c’erano pochi soldi, ma non importava a chi aveva vissuto la guerra. Spesso noi artisti scambiavamo i nostri quadri con cappotti o con pasti. Era il caso, per esempio, del sarto Formica in centro, poi diventato Gallerista, che faceva magnifici cappotti ed in cambio chiedeva quadri agli artisti: oltre che a me anche a Lucio Fontana, che per noi giovani era il maestro.”
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