LA CITTÀ DEI PADRI
                                 di Cristiano Calori

     Vorrei questo mese fare alcune riflessioni sullo sviluppo architettonico della nostra città. Pare che la regola principale, dal dopoguerra ad oggi, che condiziona lo sviluppo architettonico di Bergamo e della maggior parte delle città italiane, sia quella della speculazione edilizia.
     La nostra città si modifica anno dopo anno non per scelte della politica ma per le logiche del mercato. Bergamo è oggi il risultato della somma di quanto la storia ci ha consegnato: i borghi medioevali, le mura venete, le piazze, i Palazzi nobiliari, le opere del ventennio fascista, alcuni edifici coraggiosi e sperimentali degli anni sessanta e settanta che si possono osservare nelle vie centrali della città. Gli ultimi trent'anni sono stati poveri di idee, per non dire che hanno peggiorato la nostra città, per quanto riguarda gli interventi privati e poco incisivi, per usare un eufemismo, riguardo alle opere pubbliche.
     Il problema che vorrei porre è il seguente: quanto è giusto che l'aspetto della nostra città sia nelle mani di costruttori che operano con la sola logica del


profitto senza badare alla qualità architettonica e che tengono architetti, anche bravi, per il giogo del ricatto economico? Che ruolo di controllo deve avere la politica in tutto questo? Ovvero: i progettisti lavorano maggiormente se sono introdotti nei meandri della tentacolare burocrazia edilizia e garantiscono maggiori
cubature e profitti, che siano bravi, innovativi o geniali è del tutto secondario per la maggior parte dei committenti.
     Con questa logica il visionario miliardario Chrysler non avrebbe finanziato la costruzione del grattacielo omonimo di New York nei ruggenti anni '30 così come Leopoldo Pollack nel '700 non avrebbe potuto progettare e concepire Palazzo
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