Un tuffo indietro nel tempo. Così indietro da arrivare fino all'età della pietra, fino al momento nel quale gli uomini lavoravano il bronzo per costruire i primi rudimentali attrezzi per la caccia, per sopravvivere. Un tempo che noi conosciamo e che ci affascina attraverso i libri di Storia, quella con la S maiuscola. Oppure attraverso un'incredibile trasposizione "dal vivo" in un luogo incantevole: è quanto succede sulle sponde del lago di Ledro, in Trentino. Sulla riva di questo bel lago alpino rividero il sole, nell'autunno del 1929 quando il livello del lago fu abbassato artificialmente per i lavori della centrale idroelettrica in costruzione nella vicina Riva del Garda, i resti della palafitta di Ledro.
Sulla sponda meridionale del lago affiorò una distesa di pali (oltre 10.000) che fu attribuita ad una antica diga costruita per controllare il livello del lago stesso:
successivamente, ulteriori ricerche dimostrarono che ci si trovava di fronte ad una grande palafitta, una delle più grandi stazioni preistoriche scoperte fino ad allora in Italia ed a una della più importanti testimonianze in tutta Europa. In base ai reperti trovati, essa fu catalogata nel periodo del tardo neolitico-eneolitico. Furono trovati numerosi oggetti, oggi esposti nell'adiacente Museo, e venne riportato alla luce un antico tavolato di circa 16 mq, probabile pavimento della capanna. Alla conclusione dei lavori, il livello del lago venne rialzato e l'acqua tornò a ricoprire l'area archeologica.
Nel 1936- 37, in seguito ad un periodo di forte siccità, le acque si abbassarono di nuovo e ripresero gli scavi archeologici in tutta l'area, vasta circa 4500 mq. Seguirono altri scavi negli anni '50 e '60, finanziati dall'Università e dalla Sopraintendenza di Padova, allo scopo di reperire materiale da esporre nel
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Museo delle Palafitte, Lago di Ledro, Palafitte, Ledro, Molina, Margherita Cogo, Giuliano Castelli, Franco Brighenti, Archeologia, Trento