"Giogai a ballinas - Il gioco delle palline"
     Si giocava con piccole biglie di vetro, del diametro di un centimetro e mezzo circa, di solito tra due partecipanti. All'inizio del gioco i due giocatori facevano rotolare la loro pallina, da una distanza di circa dieci passi, verso una buca di circa otto-dieci cm. di diametro, profonda circa cinque. Chi metteva la propria biglia più vicino alla buca ("sa taffedda"), colpiva per primo la pallina dell'avversario, lanciando con misurata forza la sua in modo che tra questa e l'altra, sempre che venisse colpita, ci fosse una distanza di non meno di tre palmi di terreno. Ogni colpo così realizzato fruttava tre punti; la partita si vinceva al 21, cioè dopo sette colpi riusciti. Le regole del gioco venivano pronunciate a gran voce all'inizio della partita, secondo una formula in dialetto che le definiva in termini rigorosi: "Su giogu a dexi, su passamanu a tresi, a si parai in logu claru, foras de gioffus e de perdas" (Il gioco si chiude a dieci - il colpo finale deve distanziare le due palline di almeno dieci passi -, il passamano per i tre punti, ci si deve esporre in un luogo scoperto, fuori di avvallamenti e di pietre). Per intenderci: il giocatore che ha guadagnato il diritto di tirare per primo, guadagna i primi tre punti con il "passamano", tiro facilissimo effettuato con tutto comodo sulla pallina avversaria. Ogni volta che non si coglie la biglia avversaria, si deve "esporre" ("si parai" significa mettersi) la propria a un metro circa dalla buca, in posizione evidente ("in logu claru"), senza ricorrere a occultamenti sfruttando le asperità del terreno di gioco. Qualora se ne presentasse l'opportunità, il giocatore poteva avvicinarsi alla pallina avversaria passando per la buca. Chi arrivava a 21 si prendeva la pallina dell'altro.
"Quaddus fortis" - Il gioco della cavallina
     Un ragazzo, seduto con le spalle appoggiate ad un muro, teneva contro le proprie cosce la testa e le spalle di un secondo ragazzo, incurvato su di lui. Un terzo ragazzo prendeva la rincorsa e balzava con un salto sulla schiena del secondo. Un quarto ragazzo faceva altrettanto, cercando di sistemarsi sulla groppa del terzo e così via. Il gioco finiva nel momento in cui i primi cedevano sotto il peso dei secondi e prendeva il nome da una delle due espressioni orali indispensabili alla regolarità del gioco medesimo: chi si lanciava pronunciava queste parole: "quaddus fortis" (cavalli forti, cioè: siete cavalli forti?); gli altri dovevano rispondere: "fortis che ferru" (forti come il ferro).
     Quali sensazioni il ricordare le figurine, i sacchi di "legnetti" raccolti tra gli scarti del falegname, le trottole di legno, le corse con il cerchio delle biciclette, le infinite partite a bilie, le corse a piedi nudi nei prati con palloni non meglio definibili...

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