L'ISOLA DI RAPA NUI
                                                     di Gaia Blandano

     In un mare talmente blu da confondersi con il cielo, a 5000 km da Tahiti e a 2000 dalle più popolose isole polinesiane, si trova l'ultimo avamposto della civiltà, Rapa Nui, l'Isola di Pasqua. Triangolare, con tre grandi vulcani, il maggiore dei quali è il Rano Kao, e tanti crateri minori, Rapa Nui, traducibile con "grossa rapa" , ha un perimetro di 60 chilometri su 150 chilometri quadrati di superficie, un puntino nell'immensità dell'oceano ed una fonte di mistero che da sempre ha infiammato la fantasia degli scrittori e dei fans di "Te pito" o "Te henua" altrimenti detto "l'ombelico del mondo".
     L'enigma più grande che avvolge l'isola riguarda le circa seicento gigantesche statue, i moai, scolpite non si sa da chi e neppure perché, e realizzate con tecniche misteriose che potenzialmente gli isolani non potevano assolutamente possedere. Queste enormi statue, le più alte delle quali misurano circa venti metri, sono sparpagliate per tutta l'isola. Alcune sono messe in fila lungo la costa, quasi a fissare minacciosamente i naviganti, altre sono abbandonate all'interno della montagna, lasciate incompiute nelle cave di materiale vulcanico. A cosa servissero questi giganteschi monoliti non è ancora stato del tutto chiarito,anche se ovviamente molte ipotesi sono state avanzate, così come non è stato ancora spiegato come abbiano fatto gli isolani a trascinare per chilometri questi enormi blocchi di pietra lavorata. Soprattutto, non si è ancora capito come abbiano fatto gli abitanti dell'isola a sollevare queste statue, alcune delle quali sono sepolte per metà della loro altezza nel terreno.
     Come sempre in questi casi non mancano le fantasiose ipotesi di chi crede fermamente nella presenza di una civiltà aliena, che in Rapa Nui avrebbe avuto un proprio punto di sbarco, in cui cosmonauti extraterrestri avrebbero fornito ai primitivi abitanti dell'isola strumenti tecnici di precisione, di cui la casta sacerdotale si sarebbe servita per liberare i massi dalla lava e lavorarli. I visitatori stranieri se ne sarebbero andati così come sarebbero venuti e tutti gli utensili, anche quelli ricevuti in dono, si sarebbero consumati diventando inservibili. Evidentemente i primitivi non sarebbero stati in grado di costruirne di nuovi e così, da un giorno all'altro, il lavoro sarebbe stato abbandonato. Oltre 200 statue rimangono infatti incompiute all'interno delle cave.
     Una risposta a questo primo mistero sarebbe stata data dall'esploratore norvegese Thor Heyerdahl, che, filmato da telecamere, ha materialmente dimostrato come sia possibile sollevare un moai, il cui peso può oscillare fra le

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