INVISIBLE MONSTERS
                                 di Chuck Palahniuk

     Ho deciso di soffermarmi su un libro non facile, controverso, provocatorio fino all'eccesso: "ladies and gentlemen, se amate le storie a lieto fine e avete un temperamento sensibile, è meglio che lasciate perdere Chuck Palahniuk."
     I più si ricorderanno di questo autore per averne letto o, più probabilmente, visto al cinema la seconda opera, Fight Club, trasposta in immagini da David Fincher. Tuttavia, oggi, non è di questo conosciutissimo prodotto che voglio parlare: ho scelto l'opera prima dell'autore, Invisible Monsters. "Mostri Invisibili". Se il titolo può farvi pensare a una qualche recondita invettiva all'emarginazione sociale, beh, scordatevela. Come potete scordarvi pure ogni buonismo, ogni eufemismo ed ogni concessione al comune senso del pudore.
     Il primo libro di Palahniuk è un pugno nello stomaco. Il suo creatore, un "genio. Del male" come chiosa La Repubblica. Non a caso quest'opera prima, per il grande pubblico risultò essere la seconda, pubblicata a velocità astronomica dopo il successo del secondo libro, Fight Club. "Troppo forte, contenuti di impatto eccessivo" dissero gli editori. In seguito, puntualmente, avendo davanti agli occhi il miraggio di guadagni facili, si dimenticarono di questi duri giudizi pochi mesi dopo aver dato alle stampe Fight Club. Potere del marketing.
     Torniamo a noi o meglio alla trama di uno dei peggiori libri che abbia mai letto. Signorina Shannon McFarland, giovane, bellissima, modella: segni particolari, priva di metà faccia. Ci si presenta in questo modo la protagonista del romanzo, come una stellina del circo della moda, costretta all'eterno oblio per uno stupido incidente: un proiettile vagante la centra in pieno mentre è alla guida della sua macchina, asportandole la mandibola. Inizia qui il calvario di Shannon, la lenta discesa per la china dell'anonimato, da bellezza mozzafiato a mostro invisibile, mano nella mano con l'altra grande protagonista del libro: Brandy Alexander, drag queen con vocazione per gli psicofarmaci, alienato prodotto di un'America altrettanto alienata che fa da sfondo alla vicenda con un bailamme di genitori in crisi, poliziotti gay e associazioni per l'orgoglio omosessuale. Brandy e Shannon, a loro modo entrambe due grandi escluse della middle class statunitense, iniziano così una morbosa convivenza, attratte l'una dall'altra come possono esserlo due poli opposti, simbioticamente presenti l'una nella vita dell'altra, fino al gran finale, capolavoro di esaltata decadenza e di magnificente putrefazione del sogno americano.
     La storia non ha ordine cronologico: Palahniuk la presenta come un continuo susseguirsi di flashback e anticipazioni, di rivelazioni buttate per caso che hanno l'effetto di una bomba sul lettore: non esiste un modo per leggere questo libro o meglio il modo migliore è leggerlo tutto d'un fiato per poi lasciarlo metabolizzare lentamente dal nostro intelletto convenzionale e piccolo borghese. Il primo impatto è disorientante: troppa crudezza, assenza totale di eufemismi, nessun tentativo di preservare il lettore dal senso di squallore sempre più netto, pagina dopo pagina. Personalmente credo che per scrivere un libro così bisogna proprio odiare il mondo o odiare se stessi. Oppure, essere molto furbi.

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