I libri invece parlano di sentimenti, di emozioni, di saggezza ed è così che il nostro pompiere inizierà a riflettere. Deciderà di lasciare quel lavoro che d'improvviso gli diventa così odioso e scappa, fugge da quel mondo con l'aiuto di un anziano professore, per raggiungere quel brandello di umanità, se ancora esiste, che apprezza i libri, che non vive ancorata alla tv. Incontrerà gli uomini-libro, i quali vivono ai margini della società e imparano libri a memoria per poi bruciali, al fine di non infrangere le regole.
     Attuale, attualissimo, il libro di Bradbury non ci porta in un luogo molto diverso dal mondo del XXI secolo. Non c'è più un "Indice dei libri proibiti" come nel '400, è vero, ma il gusto per l'arte e la letteratura si è ormai quasi dissolto, come privilegio di pochi eletti. Ci sono sì, i musei, le biblioteche, le esposizioni, gli incontri con gli autori, le vendite televisive. Tutto ciò, però, è al servizio non dell'opera, bensì della spettacolarizzazione della stessa, la quale invade tutti i campi della cultura, che si tratti di libri, di film o quadri. I libri sono stampati in quantità considerevole per soddisfare un pubblico di massa, ma finiscono soltanto per abbellire le facciate delle librerie. Dov'è finita l'appropriazione della cultura? Dov'è finito il pubblico argomentare razionale sui testi letterari tanto caro a Habermas, che intratteneva il pubblico ai tempi dei salons del XVIII secolo? Dov'è finita, soprattutto, la nostra personale capacità critica selettiva? Guardando la società odierna, un quadro affiora nella mente: "Sera sulla via Karl Johann", di Edvard Munch. La folla passeggia, atomi uguali a tanti altri, sguardi allucinati e incoscienti. Folla solitaria, per dirla con le parole di David Rismann. Le persone camminano, ma dove vanno e perché? Perché si bruciano i libri? Direbbe Montag. Profetico e visionario, sembrerebbe questo quadro dell'Ottocento, che rappresenta un mondo di omogenizzazione non dissimile da quello odierno, in cui si segue una sola cultura, un solo punto di vista occidentecentrico. "Imperialismo culturale", aveva già profetizzato Schiller negli anni '60. In questo mondo unificato, globalizzato , si potrebbe aggiungere sotto l'effetto dei media, la cultura fa la differenza. Senza i libri, come nel mondo di Fahrenheit, anche noi ci priviamo della possibilità di guardare oltre la patina di superficialità che è appannaggio della nostra epoca e che si manifesta in molti valori consumistici: la corsa all'ultimo paio di scarpe alla moda, al nuovo locale trendy, all'abbigliamento firmato, alla macchina lussuosa. All'apparire, in poche parole, il quale non lascia altro che vuoto dietro di sé. Perché le mode vanno e vengono, la bellezza sfiorisce. Solo la cultura rimane; i libri insegnano che c'è ben altro nella vita. Ci mostrano la capacità di scandagliare l'animo umano, ci mostrano i sentimenti, ci mostrano sì, anche la solitudine dell'uomo, nonché anche come possiamo riconoscerci in altre persone, altri pensieri, vicini ai nostri anche se scritti molto tempo fa. Leggendo, si sviluppa la capacità di critica verso il mondo esterno.
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Francesca, Redolfi, Letteratura, Straniera, Italiana, FAHRENHEIT, 451, Bradbury, Recensione, Editoriale, Bergamo